Ambientata sul Monte Venere, a Castelmola, vicino Taormina, la leggenda narra di un barbaro assassinio di un innocente ad opera di una donna e di un uomo, che dalla lenta agonia dello sgozzato e dai gemiti del morente, dallo spavento e dal rimorso furono così sopraffatti da non consentire loro un solo momento di pace terrena.
Si racconta che, terminato il lento sgozzamento dell’innocente sul presunto posto della “trovatura”, dalla terra venne fuori un serpente, che, avvolgendo la donna nuda dai piedi, su per le gambe e per il corpo fino alla gola, sporse poi la lingua biforcuta verso la bocca inebetita di terrore dell’assassina.
A questo punto la malvagia emise un’invocazione a Maria, e all’istante gli assassini scomparvero, mentre alle orecchie parve loro sentire risuonare, col tintinnio dell’oro, il rombo assordante di un tuono. La donna impazzita si ritrovò in Piazza IX aprile a Taormina e l’uomo sotto il Catrabico.
Vi morirono poco dopo e l’agonia ripeteva i gemiti ed i rantoli dell’innocente vittima. Di certo c’è che il delitto avvenne. Il resto è la conseguenza del rimorso che, alterando la mente degli assassini, diede loro l’illusione di trovarsi nei suddetti luoghi, trasportati dal demonio.
Si disse che la testa ed il corpicino dello scomparso siano stati rinvenuti nell’ossario della Chiesa dell’Annunziata. Si racconta anche che quando la donna morì, comparvero davanti alla Chiesa due grossi cani neri, mai visti in paese prima di allora, e che quando la bara fu trasportata al Cimitero, pesava soltanto il legno: il feretro era scomparso.